Il commercio e le rotte di navigazione
(testo di Annalinda Iacoviello)
Il I millennio a.C. vede nel Mediterraneo un’intensa fase di scambi tra varie popolazioni, in cui i Fenici hanno un ruolo determinante: i loro primi spostamenti sono finalizzati al reperimento di materie prime, in primo luogo metalli.
Con la nascita e lo sviluppo di Cartagine, soprattutto dal VI sec. a.C., invece, si attua un tipo di navigazione finalizzato alla conquista territoriale, con sfruttamento delle risorse agricole e locali.
Le navi, nei loro spostamenti, dovevano seguire le correnti marine; nel Mediterraneo, lungo la costa nord-africana, esiste una corrente atlantica da ovest a est, che rende difficoltoso il raggiungimento, da est, dello Stretto di Gibilterra. È probabile, quindi, che per giungere fino all’estremità occidentale del Mediterraneo si dovesse, dalle coste libanesi, passare da Cipro, quindi alle coste dell’Asia Minore, poi a Rodi e Creta, Malta e la Sicilia; da qui, ci si dirigeva verso la Sardegna, le Baleari e la costa andalusa. Costeggiando l’attuale Andalusia, era quindi possibile oltrepassare lo Stretto di Gibilterra. Nel viaggio di ritorno, invece, si poteva navigare lungo la costa nord-africana, grazie alla corrente atlantica. Esistevano anche rotte secondarie, come tra Cartagine e la Sicilia o l’Etruria, poiché è verosimile che i collegamenti non dipendessero esclusivamente dal regime dei venti e delle correnti.
Il Nord Africa era, quindi, una tappa fondamentale nel viaggio di ritorno in Oriente prima, e a Cartagine poi. Secondo alcune ipotesi, i punti di sosta nordafricani erano disposti ad una distanza di circa cinquanta chilometri, la distanza più o meno percorribile in un giorno di navigazione.
Una conferma di queste ipotesi è offerta dalla cultura materiale, in modo particolare dalla ceramica. In quasi tutti i siti maghrebini, sottoposti a occupazione punica, si trova ceramica cartaginese, talvolta realizzata localmente.
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I cartaginesi, quando si volgono all’Africa occidentale, si trovano a contatto con elementi autoctoni, i cui costumi continuano, talvolta, a mantenersi vivi, come dimostrano sia alcuni riti funebri delle necropoli algerine, sia la persistenza di forme di architettura monumentale locale, come i tumuli, o anche la presenza, accanto alla ceramica punica, di prodotti locali, decorati ad incisione.
A partire dal VII-VI sec. a.C., quando Cartagine raggiunge il suo massimo sviluppo, monopolizza i commerci con la costa nordafricana. La notizia, è riportata anche da una fonte letteraria, lo Pseudo-Scilace, del IV sec. a.C., ed è confermata dalla ceramica: in Algeria, siti come Tipasa o Gouraya, hanno restituito un repertorio ceramico tipicamente punico, tra cui brocche con orlo trilobato o orlo piatto, detto “a fungo”, oltre ad oggetti di corredo, come amuleti e gioielli, che mostrano chiaramente tale influenza, e oggetti in pasta vitrea.
L’Algeria offre dati importanti per la ricostruzione del commercio nordafricano; se anche alcuni siti algerini furono stazioni commerciali o semplici punti di appoggio fenici, le testimonianze relative a queste fasi sono molto rare, al contrario delle testimonianze puniche.
L’interesse cartaginese nei confronti della regione è giustificato dalla sua forte vocazione agricola, dimostrata da alcuni ritrovamenti: a Les Andalouses, ad esempio, sono stati trovati mulini per grano, presse per olio e anfore con fondo cuspidato, utilizzate dai cartaginesi più per il trasporto di grano che per quello di liquidi, quali olio o vino, poiché tali anfore non potevano essere sigillate. A proposito del vino, è stata anche avanzata l’ipotesi che fosse esportato dal Nord Africa, ma tale produzione resta sempre molto limitata.
Anche Ippona/Hippo Regius (Annaba) doveva avere una forte vocazione agricola, come accadrà anche in età romana; le miniere di ferro di Bou-Hamra, nei pressi della città, sembra che non fossero utilizzate nella fase punica. Dalla stessa città, provengono anche diversi ritrovamenti di ceramica a vernice nera. La presenza di questo tipo di ceramica è dovuta ai contatti tra Cartagine e mondo greco, instaurati dal V sec. a.C., che determinarono un diffuso fenomeno di imitazione locale della ceramica a vernice nera, tra il III e il II sec. a.C., a cui si ricollega, probabilmente, la ceramica di Ippona.
L’importanza dell’agricoltura è dimostrata sia dalle effigi sulle monete, in particolare quelle di Iol/Cesarea (Cherchel), sia dagli interventi di Massinissa che potenziò l’agricoltura, ai fini dell’esportazione verso Roma e gli stati ellenistici.
Sempre l’Algeria, ha offerto anche la possibilità di formulare un’altra ipotesi. I siti di Les Andalouses, Rachgoun o Mersa Madakh hanno restituito testimonianze che mostrano una forte influenza iberica: sono state ritrovate, negli abitati, strutture in pietra semplice, simili a quelle che si trovano in Spagna, nella regione del Guadalquivir, o ceramica, che, per forma e decorazione, è comparabile con quella di questa zona della Penisola Iberica; sempre nella stessa zona, ci sono anche tumuli, come quelli di Les Andalouses.
L’ipotesi di un contatto diretto tra la costa algerina e la Spagna meridionale, sembra essere plausibile per la presenza di una corrente del Mediterraneo, che si muoveva da est a ovest, creatasi in risposta al flusso atlantico passante dallo Stretto di Gibilterra, e che lambiva la costa spagnola meridionale. Gli eventuali rapporti con la Spagna si sarebbero svolti prima del V secolo a.C., poiché Rachgoun viene abbandonata in questa epoca, il che significherebbe che Cartagine avrebbe dovuto permettere l’esistenza di rotte fuori dal proprio monopolio, cosa poco probabile. Inoltre, se gli abitanti di Rachgoun, si spostarono a Siga, dalla città non provengono testimonianze sufficienti per dimostrare la prosecuzione di questi rapporti.
In attesa di ulteriori conferme archeologiche, è più probabile che i contatti tra i siti spagnoli e quelli algerini fossero sempre mediati da Cartagine. Dopo la sua caduta, le rotte inaugurate in passato continuano ad essere utilizzate per esportare grano a Roma.