Les Andalouses
(testo di Antonella Mezzolani)
Le rovine della città punica di Les Andalouses occupano una fertile piana costiera, a 30 chilometri a ovest di Orano e ad est dell’oued Sidi Hamadi. Mentre per la fase romana la città potrebbe corrispondere ai Castra Puerorum dell’Itinerarium Antonini, i resti di epoca preromana potrebbero riportare alla mente alcuni toponimi menzionati in Pseudo-Scilace 111: Arylon, Mes o, in considerazione della presenza di un’isola nella baia (Île Plane), la città di Psamathos, descritta appunto come «un’isola nel golfo con un porto».
Sul sito vari sondaggi furono effettuati da P. Cintas, ma solo dal 1953 gli scavi furono condotti da G. Vuillemot in maniera più estesa, portando all’identificazione di un abitato e di una necropoli preromana e all’esplorazione dei tumuli funerari sul djebel Lindlès.
Sul bordo della falesia, ad oriente dell’abitato, gli scavi hanno evidenziato un’area sepolcrale con tombe ad incinerazione e tombe ad inumazione.
Per i depositi ad incinerazione (78) si può notare che l’area occupata si concentra nei settori A, B, C, proprio sull’orlo della falesia: le sepolture rivelano sia l’uso di urne funerarie, sia la deposizione dei resti incinerati a diretto contatto con la roccia, sia l’utilizzo di contenitori non ceramici (cassette litiche, cofanetti in legno, cesti in materiale vegetale intrecciato).
Per quanto riguarda le sepolture ad inumazione, invece, in questa necropoli si riscontra la presenza sia di tombe individuali, sia di tombe collettive: per le prime, ricorrono le tombe a fossa (14), generalmente rettangolari, con pareti rivestite da lastre litiche che sono impiegate anche per la copertura, e le deposizioni in anfora (13), riservate ai bambini. Mentre le tombe a fossa sembrano concentrarsi nel settore B, con qualche sporadica attestazione nel settore A, le deposizioni in anfora interessano tutti i settori.
Riguardo alle tombe collettive (solo 11 ne sono state esplorate, ma è possibile che fossero più numerose), infine, frequenti nel settore E e C, si tratta di tombe ipogeiche costruite a camera e dromos, talvolta a gradini: i muri sono costruiti in pietre di grande volume messe in opera con malta, mentre la copertura è realizzata con una solida carpenteria lignea, cui si sovrappongono lastre litiche coperte di terra battuta mescolata a calce. In qualche caso si è trovata traccia di un rivestimento parietale in calce e frammenti laterizi, così come sono stati recuperati frammenti di stucco con decorazioni lineari dipinte.
Per il materiale rinvenuto, oltre alle urne cinerarie tra cui spiccano recipienti dipinti di tipo iberico, si possono ricordare come corredo di accompagnamento anfore, brocche, unguentari, fiasche del pellegrino e vasi a biberon, ma anche ceramica campana d’importazione e d’imitazione e vasellame modellato a mano.
Non mancano, poi, amuleti, scarabei, gioielli e frammenti di uova di struzzo.
L’abitato preromano è stato indagato in vari punti del pianoro costiero, restituendo indicazioni utili per ricostruire la sua probabile estensione e le caratteristiche strutturali. Le rovine messe in evidenza sulla falesia coprono un’area di circa 3 ettari e hanno restituito, con varie fasi di utilizzo, abitazioni a vani rettangolari, erette su fondamenta non profonde, con muri esterni in pietre di tufo grossolane allettate con malta e interni in mattoni crudi.
I pavimenti sono generalmente in terra battuta, anche se non mancano settori all’interno dei vani in acciottolato o in lastricato (in questo caso, sembrano essere state utilizzati frammenti di macine); più rara è l’attestazione di suoli rivestiti in composto cementizio di calce e frammenti laterizi minuti, già rilevato come finitura parietale in una tomba ipogeica. Un rivestimento in calce è documentato per le pareti interne, mentre una copertura piana in pisè su carpenteria di legno e banchetti in muratura completavano l’allestimento dei vani abitativi.
I materiali mobili rinvenuti in area d’abitato confermano le tipologie già notate nelle tombe, con una discreta presenza di ceramica iberica dipinta (del tipo sombrero de copa) e di ceramica campana; resti di macine per i cereali e di pietre circolari utili alla spremitura delle olive testimoniano le attività produttive degli abitanti, che sembrano aver svolto anche operazioni di tintura (accumuli di murex), di fusione metallica e di cottura ceramica, a livelli apparentemente limitati al fabbisogno locale.
Le monete rinvenute a Les Andalouses, sia in abitato sia in area di necropoli, confermano i contatti con l’area iberica (moneta di Sexi e moneta di Gades) e attestano chiaramente la fase di vita neopunica (moneta con Iside di Iol-Caesarea; moneta di Vermina; moneta di Bocco).
Alle spalle di Les Andalouses, nell’area montuosa del djebel Lindlès, una serie di tumuli funerari circolari di chiara ascendenza autoctona hanno restituito materiale punico anche di fase arcaica, a testimonianza di un rapporto stretto con le aree costiere.
Se alcune tombe sembrano essere state impiantate già dalla fine del IV sec. a.C., non v’è dubbio che la maggior parte della documentazione archeologica sia da riportare a fasi più recenti configurando una occupazione del sito accentrata attorno al II sec. a.C., mentre il momento di abbandono può essere fissato alla metà del I a.C.
In seguito, dopo l’epoca augustea, il territorio verrà nuovamente impiegato a fini insediativi, ma con una concentrazione strutturale più spostata ad ovest dell’oued Sidi Hamadi.