La donna punica e il suo mondo
(testo di Gianpiero Rossi)
Nel mondo punico il ruolo della donna era ambivalente e dipendeva dal rango sociale alla quale apparteneva.
Se infatti la donna era sposata con un uomo di ceto medio-basso, i suoi compiti erano in prevalenza quelli legati alla cura della casa, occupandosi dell'educazione dei figli, della filatura della lana, della tessitura, della panificazione ecc.
In realtà, secondo la legge punica, tutte le donne libere potevano lavorare, possedere beni, gestirli e trattare con gli uomini da pari a pari.
Questi diritti erano tanto più riconosciuti alle donne di famiglia benestante o ricca, ovvero che appartenevano all'oligarchia punica, dove era possibile che le donne dessero consigli di condotta ai propri mariti. Un caso fra tutti è la storia di Sofonisba di Cartagine, che visse tra il 221 e il 203 a.C. ed era la figlia di Asdrubale di Giscone. Molto spesso le donne erano date in spose per cementare alleanze o per crearne di nuove. Così, infatti, successe nel 204, quando Sofonisba sposò Siface re dei Numidi. Questi, dopo il matrimonio, defezionò l'alleanza con la potenza romana per legarsi con Cartagine.
Dopo diverse sconfitte subite da Siface negli scontri con Roma, egli decise di trattare con l'esercito invasore. A questo punto, però, Sofonisba, memore dell'atavico odio cartaginese verso i Romani, riuscì a persuadere il marito a continuare l'offensiva senza indietreggiare. Al termine del conflitto, sia per superiorità tattica degli avversari che per penuria di uomini, l'esercito romano penetrò nel territorio di Siface sconfiggendolo definitivamente. Prigioniero e al cospetto del legato di Roma, per cercare di salvarsi la vita, Siface diede la colpa ai consigli ingannevoli che sua moglie, la bella Sofonisba, gli aveva dato durante gli scontri. A causa della sua pericolosità, fu ordinato a Sofonisba di raggiungere il marito per essere portata come prigioniera a Roma al cospetto del Senato, nonostante si fosse risposata con Massinissa, alleato romano: la donna non poté far altro che suicidarsi con il veleno, mentre, ancora, malediva il nemico di sempre, Roma.
Questa storia, tramandataci dagli autori latini, ci fa capire come le donne nord-africane potevano avere anche un ruolo politico non indifferente, basti pensare alla leggendaria Didone.
Tutte le donne puniche che entravano a far parte della vita sociale, economica e politica della propria città, avevano un senso dell'estetica molto sviluppato. Dagli scavi archeologici, infatti, numerosi sono gli oggetti di toletta venuti alla luce, soprattutto a Cartagine, ad esempio specchi in bronzo o spatole in osso o avorio che erano utilizzate per stendere il trucco sul volto. I colori utilizzati erano diversi, come il blu e il rosa. Altri oggetti potevano consistere in flaconi per profumi o scatolette per il trucco che spesso avevano una fattura ed uno stile orientale, egiziano o ellenistico.
Sempre a Cartagine, da alcune iscrizioni puniche, è possibile attestare la presenza di un vero e proprio corpo scelto di artigiani specializzato nella produzione dei profumi. Questi erano spesso bruciati mediante specifici oggetti in terracotta definiti appunto bruciaprofumi. Anche se diverse sono le tipologie riscontrate, quella più diffusa, soprattutto a Cartagine, presenta il kalathos, ovvero la parte superiore, decorato con cinque raggi o spighe verticali e un velo pendente. La parte inferiore, invece, consisteva per la maggior parte dei casi in una testa di donna di giovane età spesso attribuita ad una divinità. Caratteristica di questo tipo di reperto è che si trova solo nelle città della costa del Mediterraneo occidentale e mai nell'entroterra. Questa tipologia di oggetti era utilizzato per lo più in tre diversi settori: nelle cerimonie religiose, come oggetto a carattere votivo e all'interno dei riti funerari come corredo del defunto.