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Indice
Dal metallo alla moneta nell’Algeria punica
Le miniere
Il sistema territoriale
Le analisi archeometriche
Le zecche
Tutte le pagine

La scelta dei filoni da coltivare in antico era legata non tanto alla qualità del materiale quanto alla facilità di estrazione e di accesso alle aree che si caratterizzavano per la presenza di fosse di coltivazione a cielo aperto, brevi gallerie o pozzi poco profondi. Determinante era anche la vicinanza a zone boschive idonee al reperimento del legame e corsi d’acqua necessari alla prima frantumazione della roccia e, in alcuni casi, all’arrostimento del minerale su fuochi liberi. Il vero e proprio processo di trasformazione in metallo, con forni fusori che producevano una grande quantità di scorie, potevano essere dislocati anche in aree diverse da quelle di estrazione, ma comunque marginali rispetto ai centri urbani e poco caratterizzate dal punto di vista archeologico e urbanistico. Le botteghe poste negli abitati, infine, documentano in genere una modesta e polifunzionale attività fusoria, entro la quale risulta difficile distinguere le fasi pertinenti alla produzione monetale rispetto a quella degli altri oggetti metallici. La complessa catena del processo di trasformazione del minerale investe quindi realtà territoriali, economiche e sociali molto diverse tra loro per la cui ricostruzione organica non possediamo tutti i tasselli necessari.

L’approvvigionamento e lo sfruttamento delle risorse minerarie ha subito un profondo mutamento tra l’epica fenicia e quella punica. Da uno sfruttamento indiretto delle materie prime che si sviluppa con la fondazione di una colonia in posizione strategica e una presenza fenicia ad essa legata in contesti indigeni, si passa dalla fine del V –IV sec. a.C. ad un sistema economico strutturato che prevede la presenza di centri punici di sfruttamento diretto, anche se non esclusivo, del minerale e lo sviluppo di vie di penetrazione e porti per l’esportazioni sotto controllo punico. In entrambe le fasi, sembrano aver svolto un ruolo fondamentale i santuari che rimangono un durevole riferimento, sia pure con modalità e funzioni evolutesi nel tempo, di tutto il processo di trasformazione dal minerale al metallo monetato. Probabilmente diversi fattori contribuirono a instaurare tale legame: la natura magico- religiosa attribuita da sempre all’attività metallurgica, il significativo valore economico del materiale che necessita di costante verifica e garanzia anche nelle fasi finali della produzione, il ruolo dei santuari come luoghi privilegiati di interscambio culturale ed economico con le popolazioni locali.

Dalla fine del III- II sec. a.C., si registra un struttura economica articolata che vede il potenziamento o la creazione di centri punici o punicizzati nei distretti minerari molti dei quali coniarono monete autonome a leggenda neopunica. Tra questi si ricorda la moneta in bronzo del II sec. a.C., a leggenda punica attribuita a Thagaste o a Tigisi, (entrambi localizzati nella regione di Hippo Regius). La leggenda mb‘l qrţgš «dei cittadini di qrţgš» suggerisce la presenza nel centro minerario a prevalente popolazione libica di una comunità strutturata secondo il diritto punico. Il toponimo qrţgš riporta, nella sua struttura formale, al nome dell’antica città di Cartennas (l’attuale Ténès), uno dei pochi centri minerari nord-africani sicuramente utilizzati in epoca punica. Il sito probabilmente corrisponde alla Kalca del Periplo di Scilace (110-111) e alla Kalkeia di Polibio (XII, 5). A Bou Khandek, si localizzano, infatti, le più ricche miniere di rame della regione, che secondo S. Gsell corrispondono alla kalkorukeia che Strabone pone nel paese dei Massessili (Posidonio fonte di Strabone XVII, 3, 11). L’area algerina si inserisce tra i cosiddetti «territori punicizzati», cioè le regioni nord-africane nelle quali l’influsso culturale punico è incisivo, ma non necessariamente legato ad un diretto controllo territoriale e nelle quali ad una prima fase fenicia di tipo emporico, legata ai primi flussi orientali del X sec. a.C., fa seguito un articolato rapporto con Cartagine, che non cancella le connotazioni locali dovute alle esperienze indigene. La presenza punica in Algeria interessa prevalentemente la costa, ad eccezione della regione di Hippo Regius e di Cirta che si presenta come un cuneo in territorio numida. In queste aree Cartagine persegue una strategia di penetrazione per capisaldi verso l’entroterra libico allo scopo di controllare le fonti primarie di approvvigionamento. Esempi significativi in tal senso sono: Macoma (il toponimo è legato al significato di «mercato [nuovo]»), centro posto nel bacino minerario tra Cirta e Tebessa; Zarai, punto di raccolta dei prodotti agricoli e pastorali delle popolazioni nomadi del bacino dell’Aurès.

Più complessa risulta la valutazione dei centri fortificati che da Hippo Regius, seguendo la riva destra del fiume Seybouse, arrivano a Barrache sulla riva sinistra del fiume Medjerda, datati tra il V e il III sec. a.C. e interpretati come facenti parte di un limes cartaginese. Tale interpretazione presupporrebbe un controllo territoriale della regione da parte di Cartagine già nel V sec. a.C., mentre con maggiore probabilità i siti sono da intendere come abitati fortificati che si alternano ad insediamenti agricoli e minerari, sull’esempio del sistema individuato nella «fascia interna» e nella Sardegna punica. La lettura in tal senso fa, per altro, propendere per una datazione anche di questo sistema al III sec. a.C., quando Cartagine volge la propria attenzione politica e amministrativa a questa regione.

 



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