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Indice
Dal metallo alla moneta nell’Algeria punica
Le miniere
Il sistema territoriale
Le analisi archeometriche
Le zecche
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Dal metallo alla moneta nell'Algeria punica

(testo di Lorenza-Ilia Manfredi)

Poster miniere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

--> Scarica il Poster presentato al Convegno “1ère Conference Internationale en Algerie sur les Ressources Minerales” (CIRMA1) (Algeri, 2-4 Dicembre 2007): Trésors d’Algérie: les mines dans les terres de Masinissa

 

Un lungo procedimento, quello che dal metallo grezzo porta alla moneta coniata, che ben esemplifica l’importanza e la complessità dell’organizzazione economica, amministrativa e sociale dello stato cartaginese, dalla gestione delle miniere e dei siti di prima lavorazione, alle vie di trasporto verso i centri di stoccaggio, alla distribuzione, alla lavorazione, alla conservazione e il controllo della qualità del metallo pronto per essere trasformato in moneta. Molte di queste fasi dovevano svolgersi sotto controllo diretto statale e/o delegato all’autorità templare e cittadine. Non sappiamo se e in quali termini è ipotizzabile anche un intervento privato, come avverrà in epoca romana con le societates preposte allo sfruttamento delle miniere e delle saline. In tale senso, molti interrogativi rimangono aperti anche per la carenza di studi strutturali dedicati alle produzione monetale delle singole zecche, in particolare, per la mancanza di una specifica ricerca sulle serie della zecca metropolitana di Cartagine. La carenza è particolarmente rilevante per quanto riguarda la produzione in bronzo per la quale sarebbe necessaria una revisione globale dal punto di vista ponderale, iconografico, e della tecnica di coniazione; nonché di uno studio omogeneo e coordinato sulle leghe e di un riesame comparato dei rinvenimenti.

 

Ricostruzione dell'antico processo di fusione dei metalliLa ricostruzione del processo produttivo, che, in epoca antica, dal reperimento del materiale grezzo porta al manufatto finito, necessita di un’indagine che affronti problematiche molto diverse tra loro: dall’individuazione dei bacini minerari di provenienza del metallo; alle vie di trasporto dello stesso verso i centri di lavorazione; alle officine metallurgiche; alla gestione politico-amministrativa del ciclo nel suo complesso. Lo studio di tali aspetti impone un approccio articolato che sia in grado di integrare le risultanze archeologiche (per la restituzione del paesaggio dei siti di estrazione e l’individuazione delle aree di lavorazione urbane ed extraurbane); i dati archeometrici (per una corretta interpretazione delle analisi chimiche e fisiche eseguite sui metalli e la ricostruzione delle tecniche pirometallurgiche); le risultanze storiche (per approfondire e chiarire l’incidenza economica, amministrativa, politica e sociale dell’industria metallurgica sui sistemi regionali e urbani delle diverse aree interessate).

La ricerca e il commercio dei metalli sono tra le esigenze economiche primarie che determinarono a partire dall’inizio dell’VIII sec. a.C. la frequenza fenicia della Penisola Iberica, della Sardegna, del Nord-Africa contribuendo tra altro alla diffusione in Occidente delle tecnologie avanzate per la trasformazione dei minerali: dalla coppellazione per l’estrazione dell’argento dai minerali piombo-argentiferi alla produzione del ferro.

 

 

 


 

All’VIII sec. a.C. risalgono le più antiche testimonianze della lavorazione del metallo nelle fondazioni fenicie nella Penisola Iberica e in particolare nell’Andalusia occidentale con Gades fin dall’VIII sec. a.C., fulcro di un sistema economico destinato al controllo del versate atlantico, punto di arrivo delle rotte dall’Oriente, gestore della rete commerciale che va dall’estuario del Tago a Lixus e Mogador nel Marocco atlantico (le miniere di argento e di ferro nel Djebel Hadidi a nord-est di Mogador). Anche in Sardegna, la presenza di commercianti vicino-orientali nei bacini minerari del nord-ovest è documentata già dell’VIII-VII sec. a.C.

Di più difficile interpretazione sono i dati relativi ai bacini minerari nord-africani utilizzati in epoca antica. Le mancanza di una sistematica caratterizzazione, campionatura e studio della maggior parte delle rocce metallifere dei bacini nord-africani, non consente, infatti, di approfondire l’argomento e soltanto le analisi archeometriche sui materiali, le prospezioni archeologiche e geo-minerarie degli affioramenti e la ricostruzione del paesaggio minerario, potranno fornire elementi determinanti all’interpretazione della scarsa ma qualificate documentazione archeologica, epigrafica, numismatica e storica.

Tra le aree minerarie nord-africane, si evidenziano quelle tunisie nel Capo, nel Kef, nell’area di Vaga.

Nell’odierna Algeria, giacimenti di piombo, zinco, ferro e rame coltivati in epoca antica sono stati individuati nella regione di Hippo Regius; miniere di piombo, rame e argento nella Piccola Kabilia, nella regione di Setif e nei monti dell’Houdna; di ferro (magnetite ed ematite) nel massiccio dell’Edough (Mokta El-Hadid) e nella zona di Collo. Tuttavia, queste aree risultano ancora poco indagate, e uno dei pochi centri minerari nord-africani sicuramente coltivati in epoca punica è Cartennas (l’attuale Ténès). Nella regione si localizzano le più ricche miniere di rame della area con filoni che si dirigono da sud-ovest verso nord-est sulle due rive dell’Oued Allah.

Sul Monte Afra nella regione di Kelaia (Nador), infine, nella pressi di Rusadir, si trova un importante giacimento di piombo e ferro in cui sono state individuate tracce di frequenza antica.

 


La scelta dei filoni da coltivare in antico era legata non tanto alla qualità del materiale quanto alla facilità di estrazione e di accesso alle aree che si caratterizzavano per la presenza di fosse di coltivazione a cielo aperto, brevi gallerie o pozzi poco profondi. Determinante era anche la vicinanza a zone boschive idonee al reperimento del legame e corsi d’acqua necessari alla prima frantumazione della roccia e, in alcuni casi, all’arrostimento del minerale su fuochi liberi. Il vero e proprio processo di trasformazione in metallo, con forni fusori che producevano una grande quantità di scorie, potevano essere dislocati anche in aree diverse da quelle di estrazione, ma comunque marginali rispetto ai centri urbani e poco caratterizzate dal punto di vista archeologico e urbanistico. Le botteghe poste negli abitati, infine, documentano in genere una modesta e polifunzionale attività fusoria, entro la quale risulta difficile distinguere le fasi pertinenti alla produzione monetale rispetto a quella degli altri oggetti metallici. La complessa catena del processo di trasformazione del minerale investe quindi realtà territoriali, economiche e sociali molto diverse tra loro per la cui ricostruzione organica non possediamo tutti i tasselli necessari.

L’approvvigionamento e lo sfruttamento delle risorse minerarie ha subito un profondo mutamento tra l’epica fenicia e quella punica. Da uno sfruttamento indiretto delle materie prime che si sviluppa con la fondazione di una colonia in posizione strategica e una presenza fenicia ad essa legata in contesti indigeni, si passa dalla fine del V –IV sec. a.C. ad un sistema economico strutturato che prevede la presenza di centri punici di sfruttamento diretto, anche se non esclusivo, del minerale e lo sviluppo di vie di penetrazione e porti per l’esportazioni sotto controllo punico. In entrambe le fasi, sembrano aver svolto un ruolo fondamentale i santuari che rimangono un durevole riferimento, sia pure con modalità e funzioni evolutesi nel tempo, di tutto il processo di trasformazione dal minerale al metallo monetato. Probabilmente diversi fattori contribuirono a instaurare tale legame: la natura magico- religiosa attribuita da sempre all’attività metallurgica, il significativo valore economico del materiale che necessita di costante verifica e garanzia anche nelle fasi finali della produzione, il ruolo dei santuari come luoghi privilegiati di interscambio culturale ed economico con le popolazioni locali.

Dalla fine del III- II sec. a.C., si registra un struttura economica articolata che vede il potenziamento o la creazione di centri punici o punicizzati nei distretti minerari molti dei quali coniarono monete autonome a leggenda neopunica. Tra questi si ricorda la moneta in bronzo del II sec. a.C., a leggenda punica attribuita a Thagaste o a Tigisi, (entrambi localizzati nella regione di Hippo Regius). La leggenda mb‘l qrţgš «dei cittadini di qrţgš» suggerisce la presenza nel centro minerario a prevalente popolazione libica di una comunità strutturata secondo il diritto punico. Il toponimo qrţgš riporta, nella sua struttura formale, al nome dell’antica città di Cartennas (l’attuale Ténès), uno dei pochi centri minerari nord-africani sicuramente utilizzati in epoca punica. Il sito probabilmente corrisponde alla Kalca del Periplo di Scilace (110-111) e alla Kalkeia di Polibio (XII, 5). A Bou Khandek, si localizzano, infatti, le più ricche miniere di rame della regione, che secondo S. Gsell corrispondono alla kalkorukeia che Strabone pone nel paese dei Massessili (Posidonio fonte di Strabone XVII, 3, 11). L’area algerina si inserisce tra i cosiddetti «territori punicizzati», cioè le regioni nord-africane nelle quali l’influsso culturale punico è incisivo, ma non necessariamente legato ad un diretto controllo territoriale e nelle quali ad una prima fase fenicia di tipo emporico, legata ai primi flussi orientali del X sec. a.C., fa seguito un articolato rapporto con Cartagine, che non cancella le connotazioni locali dovute alle esperienze indigene. La presenza punica in Algeria interessa prevalentemente la costa, ad eccezione della regione di Hippo Regius e di Cirta che si presenta come un cuneo in territorio numida. In queste aree Cartagine persegue una strategia di penetrazione per capisaldi verso l’entroterra libico allo scopo di controllare le fonti primarie di approvvigionamento. Esempi significativi in tal senso sono: Macoma (il toponimo è legato al significato di «mercato [nuovo]»), centro posto nel bacino minerario tra Cirta e Tebessa; Zarai, punto di raccolta dei prodotti agricoli e pastorali delle popolazioni nomadi del bacino dell’Aurès.

Più complessa risulta la valutazione dei centri fortificati che da Hippo Regius, seguendo la riva destra del fiume Seybouse, arrivano a Barrache sulla riva sinistra del fiume Medjerda, datati tra il V e il III sec. a.C. e interpretati come facenti parte di un limes cartaginese. Tale interpretazione presupporrebbe un controllo territoriale della regione da parte di Cartagine già nel V sec. a.C., mentre con maggiore probabilità i siti sono da intendere come abitati fortificati che si alternano ad insediamenti agricoli e minerari, sull’esempio del sistema individuato nella «fascia interna» e nella Sardegna punica. La lettura in tal senso fa, per altro, propendere per una datazione anche di questo sistema al III sec. a.C., quando Cartagine volge la propria attenzione politica e amministrativa a questa regione.

 


Il contributo delle analisi archeometriche alla determinazione della composizione dei metalli è stato, negli ultimi anni, fondamentale alla ricostruzione del processo di produzione delle monete antiche. Nella valutazione dei dati ottenuti con la spettrometria di massa con fluorescenza a raggi X, la microscopia elettronica, la comparazione con gli isotopi del piombo, va costantemente tenuto conto che le leghe, in particolare il bronzo, variano in quanto variabile è l’accesso al metallo da monetare, e non si hanno parametri precisi per valutare la reale incidenza del riuso del metallo più antico derivante da monete fuori conio, zecche allogene e oggetti non monetali, sulla quantità e qualità di una determinata emissione. Allo stesso modo, documentata in tutte le epoche antiche, ma altrettanto difficilmente valutabile, è la tendenza all’alterazione delle leghe, con la riduzione del metallo più prezioso (nel bronzo in genere lo stagno) e l’aumento del rame o del piombo.

La possibilità di eseguire analisi archeometriche comparate sulle monete e sui campioni dei minerali metalliferi dei bacini nord-africani e spagnoli permetterebbe di approfondire la conoscenza dei processi di produzione e provenienza del metallo utilizzato, fornendo indicazioni puntuali per la comprensione del fenomeno dell’utilizzo del piombo in relazione l’andamento generale della politica monetale cartaginesi e degli eventuali fenomeni inflazionistici. Tra il 264 e il 237 a.C., tra la prima guerra punica e la fine della rivolta libica, le serie cartaginesi in bronzo Core/cavallo stante e sarde Core/cavallo retrospiciente, presentano, infatti, lettere e numerali probabilmente da intendersi come indici del rapporto tra bronzo e argento. Il valore potrebbe essere stato registrato nel tentativo di stabilizzare i cambi nell’ambito di una “riforma”, una svalutazione che trova negli eventi bellici una giustificazione plausibile. I dati sulla composizione metallografica delle monete puniche sembrano confermare tale situazione non solo indicando un progressivo e generalizzato cambiamento nella composizione delle leghe a partire da questo periodo, ma evidenziando anche tentativi di falsificazioni in relazione alla rivolta dei mercenari del 241-238 a.C. Soltanto la disponibilità dell’argento spagnolo in epoca barcide inverte, per la durata della seconda guerra punica, la tendenza allo scadimento della qualità del metallo documentato a partire dal 241 a.C.In questo breve arco di tempo, corrispondente alla rivolta libica, si registrano i primi tentativi di imitare le monete in argento e billone. La tendenza all’adulterazione del argento subisce un momentaneo rallentamento in epoca annibalica con l’acquisizione delle miniere spagnole. L’argento ispano-cartaginese contiene come elemento minoritario il piombo, mentre le coeve serie delle città spagnole presentano una minima quantità di rame. Il dato non solo sembra indicare l’utilizzo di diverse tecniche di coniazione (probabilmente utilizzate in ateliers differenti), ma anche di differente provenienza dell’argento per le serie di zecche autonome e quelle ispano-cartaginesi.

Il progressivo impoverimento delle leghe si registra anche nelle monete in bronzo. Le emissioni ispano-cartaginesi indicate come bronzo sono, in effetti, in rame con molte impurità, raramente alterato da piombo o stagno. Tale composizione, le distingue nettamente dalle monete cartaginesi coniate nel Nord-Africa nelle quali è prevalente l’impiego del piombo (fino al 90%) e dai bronzi sardi emessi tra 300-264 a.C. e 241-238 a.C., caratterizzate dell'incostante composizione cui partecipano quantitativi talvolta elevati di piombo e parti di stagno fino al 5 o 6 %.

I risultati sono stati confermati dalle indagini archeometriche eseguite su un campione delle cinquantasei monete in bronzo del tipo Core/cavallo retrospiciente della zecca di Cartagine del 221-210 a.C. rinvenute a Torre de Doña Blanca a Cadice. Le analisi hanno evidenziato un’alta percentuale di piombo che in alcuni esemplari arriva vicino al 90% (anche se alcune monete presentano una lega con prevalenza di rame (90-92%) con il 3-5% di piombo e il 3% di stagno). Queste monete probabilmente preparate nella metropoli africana in relazione alle vicende belliche della seconda guerra punica e trasportate in Spagna attraverso il porto di Rusadir, come sembra confermare il ritrovamento nel porto della città di una notevole quantità di monete puniche della stessa tipologia, dovevano far fronte alle necessità finanziare puniche nella Penisola sopperendo alla perdita della zecca ufficiale di Carthago Nova conquistata dai romani (anche se M.P. García-Bellido ritiene che dopo il 209 a.C. almeno per le monete in argento cartaginesi sia stata utilizzata la zecca di Castulo). Le analisi chimiche eseguite sulle monete cartaginesi di epoca annibalica rinvenute durante il dragaggio del porto di Rusadir, hanno rivelato, infatti, una lega con una forte presenza di piombo forse proveniente dal Monte Afra dove sono state individuate tracce di frequenza antica, tra cui una figurina in bronzo identificata con Astarte.

La provenienza nord-africa del metallo, trova riscontro nei frequenti ritrovamenti nell’area tra Tabraca e Rusadir di monete in piombo o piombo ricoperto di bronzo, risalenti al regno di Massinissa o Micipsa (fine III- seconda metà II sec. a.C.) e circolanti in concomitanza con le serie in bronzo numide e cartaginesi. Da Icosium, (l’antica Algeri) provengono ben centocinquantaquattro monete in piombo risalenti al II sec. a.C. di zecca locale associate a monete numide. (L’esiguo numero di esemplari sottoposti ad analisi microchimiche ha indicato quantità variabili di rame e piombo e in generale un piombo meno puro nelle emissioni numide rispetto a quelle di Icosium. Le analisi eseguite sulle monete annibaliche di zecca africana sembrano evidenziare che l’aggiunta progressiva di piombo andava consolidandosi già in epoca punica in accordo con il graduale passaggio dalla lega binaria e rame stagno a quella ternaria rame, piombo e stagno che si registra in tutto il Mediterraneo occidentale in epoca ellenistica e durante il periodo romano repubblicano.


Il problema della localizzazione delle zecche di coniazione nei contesti archeologici punici non è di poco conto. La scarsa documentazione sulle possibili aree destinate agli ateliers monetali è di difficile interpretazione anche in ambito greco-ellenistico e romano-repubblicano dove non è affatto agevole l’individuazione delle officine destinate esclusivamente alla coniazione delle monete. Per l’epoca antica non sono state riconosciute aree o complessi sicuramente adibite all’intero ciclo produttivo delle monete dalla preparazione della lega alla battitura della moneta. Le fonderie, dove venivano preparati i tondelli, erano separate dal luogo di manifattura e quando le diverse fasi sono documentate insieme si ha la quasi certezza di essere in presenza di una officina di falsari. I ritrovamenti in contesti civici, templari e privati, inoltre, pongono il problema della distinzione e diversa localizzazione tra le zecche vere e proprie e i depositi dove erano conservati i lingotti per la preparazione dei tondelli, i tondelli, le matrici di conio e i conii, che, una volta distrutti dopo l’uso, venivano spesso occultati nelle stipi votive dei templi.

In ambito fenicio-il fondamentale ruolo politico, commerciale ed economico svolto dai templi di Melqart (condiviso da quelli di Astarte), nell’espansione e nell’organizzazione dei possedimenti fenici in Occidente. Ruolo che si va definendo in modo sempre più preciso in Nord-Africa, e soprattutto nella Penisola Iberica anche in relazione alla produzione pirometallurgica come nel caso del santuario di Melqart sull’isola di Saltés legato all’area mineraria di Huelva. Si constata, comunque, una differenziazione tra i grandi santuari, come quello di Cadice con funzione di collettore ultimo di una rete economica su larga scala e i luoghi di culto di dimensioni inferiori posti a presidio del territorio di provenienza della materia prima. Se poi esistesse un rapporto “fisico” tra luoghi di culto e zecche non è dato sapere, così come non siamo in grado di definire le eventuali strutture attribuibili alle officine metallurgiche o fusorie rinvenute nei siti punici, le quali comunque hanno costantemente una collocazione marginale rispetto ai centri abitati. Nelle aree cartaginesi, così come in quelle sarde e spagnole, non sono state rinvenute strutture murarie stabili e, in particolare, non sono stati trovati oggetti in metallo lavorati o semilavorati attribuibili a zecche. Non si hanno, quindi, elementi per ritenere che le officine messe in luce fossero in qualche modo utilizzate anche per la produzione di monete.

Cartagine, dal IV sec. a.C., diventa l’autorità emittente che gestisce e controlla la produzione monetaria dei territori punici attivando certamente una zecca metropolitana, utilizzando quelle già operanti nella Sicilia occidentale e creandone nuove nelle regioni non ancora toccate dal fenomeno. Le prime esperienze monetali fenicie in Occidente sono, infatti, attribuibili alle città siciliane di Solunto, Mozia, Panormo, che, dal V sec. a.C., si muovono nel contesto economico e culturale greco dominante in Sicilia, dove ogni città batte moneta in autonomia quasi assoluta e le emissioni prodotte rispecchiano il livello economico raggiunto dai singoli centri. In questi dovevano essere attive zecche autonome e stabili sottoposte al controllo amministrativo civico. Nel 410 a.C. Cartagine batte le prime monete in argento, con al dritto la parte anteriore di cavallo e al rovescio l’albero di palma e leggenda qrthdšt/mhnt destinate al pagamento dei mercenari impegnati in Sicilia. Per la loro battitura si è proposto l’utilizzo delle zecche di tradizione fenicia, anche se non si può escludere che Cartagine abbia provveduto in patria all’organizzazione di officine capaci di soddisfare le necessità finanziarie dell’esercito. La registrazione del termine mhnt “il campo” nel senso di “esercito”, ha fatto ritenere possibile anche l’impiego di maestranze itineranti associate alle truppe di stanza nell’isola. L’esistenza di zecche itineranti e la mobilità degli artigiani è un life motiv ricorrente nella letteratura numismatica punica e non solo.

Ancora, sembra interessante ricordare il legame tra la tecnica incisoria dei conii monetali e quella della glittica e dei gioielli, che evidenzia anche per il mondo punico quanto proposto per quello greco-romano e fenicio: gli incisori delle pietra dure erano gli stessi che preparavano i coni monetali. A tale proposito, risulta fondamentale il rinvenimento a Cartagine, in un'area interpretata come l' archivio di un tempio punico, di cretule datate al IV sec.a.C., con iconografie (quali la testa di Eracle-Melqart con leontè, il cavallo al galoppo, il leone passante) che trovano riscontro, come le cretule di Selinunte nelle monete puniche.

Infine, non possono mancare cenni alla documentazione epigrafica punica che non fornisce dati diretti sulla tecnica di coniazione di monete, ma documenta il mestiere del fonditore di metalli.

Dalla radice nsk “fondere” deriva il participio qal nōsek e il sostantivo msk (quest’ultima forma si trova sempre associata a hnhšt) attestati nelle stele e le iscrizioni funerarie dove si fa rifermento a fonditori di oro, di ferro e bronzo. Il testo più antico sul quale potrebbe essere documentato un fonditore è la patera d’argento proveniente da Pontecagnano (Salerno) della fine del VIII-inizi VII sec. a.C. L’iscrizione è stata interpretata come“che appartiene alla corporazione dei fonditori” ma anche come “blš’ figlio di hmlk”.

Scarse e riportabile, come le iscrizioni, ad un arco temporale tra il III e il II sec. a.C., anche le attestazioni iconografiche riferibili ai fonditori e fabbri: strumenti come tenaglie, martelli, mantici sono raffigurati solo su due stele del tofet di Cartagine.

Meglio documentate sono, infine, le cariche amministrative legate al controllo della produzione monetale.

Il più antico riferimento ad una possibile carica amministrativa connessa alla produzione monetale è quella di ršmlqrt “gli eletti, capi del tempio di Melqart”, funzionari del tempio probabilmente preposti al controllo della coniazione, presente sulle monete siciliane quadriga/testa femminile o di Eracle datate al 350-300 a.C.

Al 300-289 a.C. risale la leggenda mhšbm, presente sul rovescio dei tetradrammi siciliani Eracle-Melqart/ protome equina, riferita a funzionari di grado intermedio contabili o controllori finanziari. La menzione dei mhšbm sulle monete cartaginesi battute in Sicilia sembra potersi interpretare come l’esito della progressiva normalizzazione della presenza punica amministrativa nell’isola, che si esprime nella registrazione contabile dell’impegno finanziario. La carica compare anche nell’iscrizione pubblica del mercato di Cartagine, dove i mhšbm (esattori come i quaestores romani) sono dei funzionari pubblici in grado di multare i trasgressori.

Sulle monete neopuniche in bronzo di Leptis Magna con Liber Pater/ mazza entro corona della prima metà del I sec. a.C. compare il termine mpqd lpqy da intendersi nel senso di “tesoriere o responsabile della zecca di emissione di Leptis”.

Sulle monete di Sabratha Augusto / Eracle-Melqart del 27 a.C.- 14 d.C. è, infine, registrata la leggenda hmš’‛kbr “i cinque grandi” riferita probabilmente ad un collegio di cinque magistrati monetali da intendersi come traduzione del termine latino quinqueviri monetales. La carica probabilmente da mettersi in relazione al controllo finanziario eseguito da parte di funzionari locali, sulla serie di epoca di Augusto o di Tiberio. L’indicazione sulla serie dei funzionari straordinari preposti al controllo dell’emissione può, forse, porsi all’inizio della coniazione con una funzione di garanzia simile a quella ipotizzata per i mpqd di Leptis. Una volta superata la prima fase, le emissioni sono contrassegnate dalle iniziali dei due sufeti annuali, che fissano così anche una cronologia relativa interna alla serie stessa.

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